Ci sono alcune cose, non necessariamente scontate, da sapere su Gabriele Rossetti.
Molti monumenti in città sono dedicati a lui. C’è il teatro, la statua che domina la piazza omonima, la casa natale. Ma in realtà, chi era Gabriele Rossetti? Un poeta e pittore incontenibile, che scrisse versi sin dalla sua infanzia e continuò per tutta la vita. Scrisse di guerre, di battaglie, della sua patria, dell’esilio, di letteratura, d’amore, e fu anche librettista al Teatro San Carlo di Napoli. Dedicò anche una poesia a un sedere, La Culeide, per il “bel cul di Carolina”, Regina delle Due Sicilie. “Culo non v’è; né fuvvi mai nel Mondo più tornito, più vago, e più giocondo. Né fra le statue del Museo rimiro, scavate là in Pompei, Stabia, e Resina, simile un cul a quel di Carolina”. Gabriele era nato con l’afflato del genio, e non fu difficile accorgesene. Scriveva poesie su qualsiasi cosa accadesse nel suo quotidiano: ne dedicò anche una a un amico fraterno che lo salvò dal sicuro annegamento nella spiaggia vastese di San Nicola, quando lui volle seguire “l’insolit onda” tra gli scogli. Dedicò numerosi versi anche alla fantastica vista mare, incomparabile, di cui godeva dalla sua casa natale, che lo ha segnato per tutta la vita: “Ove in me riflettea vivido azzurro D’un bel ciel, d’un bel mar l’emul zaffiro”.
A Londra, nella casa dove si trasferì in esilio, al n. 110 di Hallam Street c’è ancora oggi una targa con su scritto “Rossetti House”. Appena sbarcato, dedicò all’Inghilterra questi versi: “O Britannia venturosa Di Nettun possente sposa Triste nebbia è ver t’ingombra”. Ebbe quattro figli: Dante Gabriel e Christina, che divennero famosi poeti, e Maria Francesca e William Michael. Tutti e quattro sono presenti nel basamento della sua possente statua a Vasto, raffigurati in volto insieme all’ombra di Dante Alighieri, di cui era assiduo cultore.
La storia della sua statua nasconde non pochi misteri. Costruirla non fu facile, e la decisione venne presa a seguito di comizi e comitati di portata nazionale. Anche il celebre poeta Giosuè Carducci si espresse in merito: <<Purché facciamo presto, bene, onestamente!>>. E fu fatta. Per mano dello scultore napoletano Filippo Cifariello, detto il Gattonero. Era chiamato così perché si diceva che facesse calchi delle persone dal vivo, tanto era fedele nel riprodurne i lineamenti. Per smentire questa inquietante accusa Cifariello cominciò a scolpire in scala minore. La sua vita fu complicata: assassinò la prima moglie a colpi di rivoltella per gelosia, e fu assolto per infermità mentale. La seconda consorte, di venti anni più giovane di lui, morì a sole tre settimane dal matrimonio per un incidente ai fornelli. Si sposò di nuovo e scrisse la sua autobiografia, “Tre vite in una” una, ma la depressione non gli diede più scampo e lo portò a suicidarsi qualche anno dopo, nel suo studio di Napoli.