Forse, non tutti sanno che… Maccio Capatonda è nato a Vasto. E il benvenuto per iniziare a scoprire questa città, non poteva essere che il suo. Mentre gustiamo un babbacchione sorseggiando amaraccio, Maccio ci racconta la sua esperienza qui, sin dai primi momenti della sua vita…
Che ne pensi di questa città?
Vasto è bellissima, l’ho capito da appena nato, quando sono uscito per strada e già ho sentito delle buone vibrazioni. Il luogo in cui nasci è importante. In qualche modo ti segna. Anche se ho vissuto altrove, questo posto ha il suo peso nella mia vita. Ci sono tornato molti anni dopo, quando avevo 18 anni, e in quel momento ho scoperto una città stupenda. Mi sono arrabbiato con i miei genitori perché non mi avevano più portato qui, ho avuto la sensazione di averla persa per tanto tempo, ma sono rimasto anche soddisfatto al pensiero che fosse la mia città natale. Da neonato non avevo potuto ammirarla abbastanza.
E ti sei sentito a casa?
Si, tanto. È stato un ritorno in patria… natale. Quanto è bella questa città! Non avevo idea di cosa fosse, della sua parte alta, storica, che affaccia sulla baia. Ci torno spesso e volentieri.
Hai dei posti preferiti?
La Loggia Ambilngh, la passeggiata panoramica da cui si vede tutto il golfo, la faccio ogni volta. Poi un giro in piazza e un buon gelato. I vastesi mi accolgono sempre con molto calore, come se fossi un concittadino che torna, mi fanno davvero sentire a casa.
Che cosa ne pensano Mario, o un fratello Peluria invece, di Vasto?
Pensano che ci vivrebbero! Anche io ci vivrei. È una perla dell’Abruzzo, una delle città in cui si dovrebbe vivere e trascorrere del tempo. Ha un mare bellissimo, le cale più belle di tutta la regione. Non cambierei una virgola.
Hai mai pensato a un progetto cinematografico ambientato qui?
Non ancora, ma mi piacerebbe molto. Sarebbe bello girare un video per rendere questa città famosa nel mondo per la sua ricchezza. Si potrebbe pensare di rilanciare Vasto e in generale l’Abruzzo a livello cinematografico.
Infatti il tuo ultimo film, “Omicidio all’italiana”, è ambientato a Corvara. Perché la scelta di girare un film proprio in Abruzzo?
Corvara mi è stata segnalata da mia madre, sembrava Frittole di Benigni nel film “Non ci resta che piangere”. Un paese dove il tempo si era fermato. Fu il primo borgo che andammo a vedere, ma era troppo scomodo per girare un film. Ne abbiamo visti molti altri, ma alla fine della ricerca ho realizzato che la perfezione di Corvara stava proprio nella sua scomodità, che dava un valore aggiunto alle riprese. Sono contento di aver trovato il posto che cercavo in Abruzzo. Era giusto così.
Ti ha colpito qualcosa di questo angolo terrestre abitato da 269 anime?
Ho conosciuto un ragazzo che si era trasferito lì da Pescara, con tanta voglia di far rinascere questo borgo. Il mio film parla di cronaca nera e spettacolarizzazione, ma sotto sotto è un film che vuole raccontare di bellissimi posti che potrebbero essere valorizzati e invece stanno scomparendo. Io l’ho fatto anche per questo.